Domani domenica 21 settembre si svolgerà a Borgaro e in particolare al parco Chico Mendes tutto il giorno la festa dei 20 anni della struttura ambientale. Una bella iniziativa alla quale noi del Circolo Letture Corsare invitiamo tutte e tutti gli amici di Borgaro e non solo a partecipare. Abbiamo aderito alla festa con un preciso impegno letterario e ci siamo affidati all’amico e scrittore Emanuele Serra che ha scritto un racconto che domani pomeriggio alle 15,00 verrà letto e musicato da Daniele Chiarella, leader dei Fanali di Scorta, altro nostro grande amico, per l’apertura della festa di musica e danze che sarà il clou delle attività per la festa dei 20 anni del parco Chico Mendes . Noi vi vogliamo fare un regalo pubblicandolo per intero sul nostro sito. Un buon racconto che ci ridà a tutto tondo la figura di Mendes e ci conferma la vena letteraria di Emanuele. Buona lettura e buona partecipazione alla festa!
” Amelia ha il passo leggero.
Le sue gambe, sottili e apparentemente fragili, tagliano il sentiero senza un minimo di esitazione. Attorno a noi il bosco lentamente si ripiega tra alberi e folta vegetazione mentre la pendenza diventa crudele per il mio fiato che arranca e le ginocchia dolenti dal tempo.
Guardo Amelia e rivedo in lei il riflesso di uno specchio senza età, osservo in silenzio il suo profilo simile a quello di una delle bambole con cui si diletta nelle sue spensierate ore.
Mia nipote si ferma, sbuffa, raccoglie da dietro un cespuglio una vecchia lattina arrugginita e la butta in una busta di plastica che tengo stretta al polso.
« Se lo sapesse il guardiano della foresta» Dice.
Sorridiamo per poi riprendere il cammino.
A volte penso che con mia nipote sono riuscita a seminare più di quanto avessi fatto con mia figlia. Dalla passione per la montagna al rispetto quasi ossessivo per la natura e di tutte le sue leggi. Altre volte invece mi accorgo che ho sempre seminato alla stessa maniera, il raccolto è arrivato solo quando l’amarezza del ricordo e del tempo è riuscita finalmente a trasformarsi in passione, pulita come l’acqua della sorgente.
Il guardiano della foresta…
Ad Amelia nel dolce sussurro della sera, raccontavo le storie di questo uomo sospeso tra la realtà e le leggendarie gesta eroiche di cavalieri erranti. Lei lentamente si sopiva, liberando nella sua mente l’immagine del cavaliere di Xapuri, lo lasciava lì. Libero com’era sempre stato, a dare ai sogni dei bambini la giusta dose di ali e coraggio per imparare a volare e affrontare la notte in compagnia del buio e impavidi uomini neri.
Così il guardiano della foresta ha protetto i sogni di mia nipote e le ha insegnato ad osservare e imparare anche dal più piccolo degli esseri viventi.
Con mia figlia invece non è stato così.
Il ricordo era ancora fresco e la ferita troppo profonda per poter dare a Chico Mendes il titolo di cavaliere di Xapuri, guardiano della foresta.
Quando Chico fu assassinato mia figlia compiva quattro anni, ed erano passati poco più di undici mesi da quando lo avevo conosciuto.
In quel periodo mi trovavo, per questioni lavorative, per la prima volta negli Stati Uniti d’America.
Camminavo come una formica ubriaca nelle strade di Washington, l’America era un abito troppo scomodo per me, faticavo a dormire, mi mancava la mia famiglia, i miei spazi e persino il cielo di Torino.
Una sera scesi in strada, pioveva forte, rimasi a guardare la pioggia. La stessa cosa la faceva un signore pochi metri da me. Era Chico.
Non lo conoscevo, non sapevo nemmeno chi fosse Chico Mendes.
Mi salutò con un inglese macchiato. Ricambiai il saluto con un sorriso.
Ritornò a guardare la pioggia e si accese una sigaretta. Lo salutai in portoghese.
Sorrise, come se gli avessi raccontato una barzelletta. Aveva un sorriso pulito, la faccia paffuta, baffi folti e i tratti tipicamente sudamericani. Era più spaesato di me.
« Cosa ci fa una donna straniera, in una strada Americana a fissare la pioggia?» mi domandò.
« Non lo so neanch’io. E cosa ci trova un sudamericano di tanto interessante in questa pioggia? »
« Sono venuto a seminare» mi disse. Aveva lo sguardo perso oltre la pioggia. Non lo sapevo ancora, ma ci sono persone destinate a guardare oltre al primo orizzonte. Chico Mendes era una di quelle persone.
Mi offrì una sigaretta che rifiutai con cortesia, poi continuò:
«è sposata. Ha figli che l’aspettano a casa?»
«si. Una bimba»
«di quanti anni?»
«tre»
«pure mia figlia…. Mentre mio figlio ne ha appena uno. Mi mancano»
«L’ultimo imperatore. Sono qui per scrivere un’ articolo sull’uscita del film negli stati uniti D’ America» dissi.
Ci parlavamo senza mai distogliere lo sguardo dalla pioggia che, indifferente, continuava a picchiettare sul asfalto
« Domani devo parlare al Senato Americano » disse lui
Pensavo fosse una presa in giro. Spiazzata rimasi in silenzio.
« Conosce l’amazzonia? »
Annuivo senza parlare.
« conoscerà anche il brasile, Xapuri invece non l’avrà mai sentita nominare. Eppure esiste. Ma non si deve crucciare. Xapuri è un luogo remoto del mondo, siete in molti a non conoscerlo. Ma da domani sarete di meno, almeno mi auguro »
« Lei vive a Xapuri? »
« si »
« e parlerà di Xapuri al senato Americano? »
« L’ultimo imperatore non l’ho visto. Non posso raccontare di cose che i miei occhi non hanno conosciuto. »
Mi sorrise, aveva un sorriso buono, sentivo che non mi stava prendendo in giro e non mi sembrava di trovarmi di fronte ad un folle. Ero incuriosita.
« lei di cosa si occupa? » gli domandai
« Sono un seringueiro, un raccoglitore di caucciù. Da quando ho nove anni intaglio il legno per fare scivolare dalla corteccia della linfa. Le sembrerà assurdo che un uomo della foresta, che non è mai entrato in una scuola, domani vada a parlare di fronte al Senato Americano. »
Avevo freddo, entrammo a prenderci un caffè, lo pregai di continuare a raccontare.
Chico acconsentì.
Mi raccontava della foresta con la stessa accuratezza che si fa quando si parla della propria madre, e quando lo faceva sembrava che non ci fossero più confini a delimitare il suo territorio, del resto è l’uomo a tracciare i confini, gli alberi crescono liberi. Un giorno la foresta gli consegnò un uomo, un certo Euclideves Tavora. Era un fuggitivo. Si portava nella sua valigia vecchi giornali e grandi ideali.
« Imparai a leggere e a scrivere e involontariamente ad essere libero, ero pronto a pagarne il prezzo. Quando arrivarono i fazendeiros a violentare e depredare la nostra terra non potevo stare seduto ad osservare che tutto quello che avevamo venisse distrutto»
Ristagnavano nel soffitto piccole nuvole di fumo, Chico intervallava parole a sigarette mentre ogni secondo scivolava impassibile, non stavo più a domandarmi se quell’uomo avesse sul serio parlato all’indomani al congresso Americano.
Sapevo che sarebbe successo, mi accorgevo di trovarmi di fronte ad una di quelle persone che avrebbero cambiato il mondo. Mi raccontò degli empates, il loro modo di opporsi al disboscamento, mentre ne parlava l’immagine della foresta sempre più simile ad una madre continuava a rimbalzare nella mia mente. L’empatesera del resto un abbraccio, agli alberi, alla foresta. ci stavano donne, bambini, uomini, ad opporsi alle ruspe con un abbraccio.
« ma non sarà un abbraccio a salvare la foresta. Dobbiamo essere liberi. Abbiamo insegnato al nostro popolo a leggere e scrivere, non si può essere liberi se non sai quello che ci sta scritto nelle carte, nei contratti che ti fanno firmare. »
Chico socchiudeva gli occhi, quasi a trattenere qualcosa. Non erano lacrime, nemmeno rabbia. Probabilmente solo la vertigine. La vertigine di un uomo che si era arrampicato sulla cima di un albero troppo alto per continuare a stare in equilibrio.
Quando Amelia si toglie le scarpe comprendo che siamo quasi arrivati alla fine del sentiero.
Non mi accorgo della stanchezza che si accomoda tra le mie gambe. Le chiedo se ha sete.
Amelia ha una voglia sul collo del piede, dalla stravagante forma di un aquila in volo. Quando era piccola le dicevo che un tempo aveva le ali nei piedi.
Forse è per quel motivo che quando siamo vicini alla cima del monte si toglie le scarpe. Per volare occorre essere liberi da ogni tipo di prigione.
« Nonna. Perché il guardiano della foresta salì sull’albero?»
« Non ora Amelia. »
Il giorno successivo Chico Mendes parlò al senato Americano, lo fece con la stessa naturalezza con cui il giorno prima dialogava con me, probabilmente la stessa che aveva con i famigliari.
Chico per arrivare fino agli Stati Uniti oltrepassò ogni confine. Quelli della sua foresta, della sua nazione, ma anche i sottili confini che delimitano la lingua del suo popolo e della stessa foresta. Comprese che di fronte ad un interesse economico delirante e distruttivo doveva contrapporre un’alternativa, un interesse economico responsabile, in grado di preservare la vita stessa della foresta e di tutti i suoi abitanti. Constatò e calcolò che commerciare caucciù, piante medicinali e frutti della foresta era nel lungo periodo economicamente più conveniente rispetto ad inaridire il terreno con coltivazioni di soia o allevamenti di bestiame. Grazie a questa sua intuizione vennero riconosciute negli anni a seguire delle riserve estrattive all’interno della foresta amazzonica.
« Salì sull’albero più alto per urlare con tutta la sua forza.
La sua voce non aveva confini, perché era la voce di un uomo libero. La sentì tutto il mondo, urlò talmente forte che la terra sotto i suoi piedi tremò… »
Amelia guardava intorno la catena di monti che ci circondava, ad un orizzonte seguiva un altro orizzonte. Lei non lo sapeva, ma sarebbe sempre stato così. Intanto tra le labbra canticchiava mestamente la canzone per Chico Mendes il Guardiano della foresta” .
« I signori della morte hanno detto sì,
l’albero più bello è stato abbattuto.
I signori della morte non vogliono capire,
non si uccide la vita, la memoria resta:
così l’albero cadendo ha sparso i suoi semi
e in ogni angolo del mondo nasceranno foreste.
Testo trovato su http://www.testitradotti.it
Ma salvare le foreste vuol dire salvare l’uomo,
perché l’uomo non può vivere tra acciaio e cemento,
non ci sarà mai pace, mai il vero amore finché
l’uomo non imparerà a rispettare la vita.
Per questo l’albero abbattuto non è caduto invano,
cresceranno foreste e una nuova idea del uomo.
Ma lunga sarà la strada e tanti gli alberi abbattuti,
prima che l’idea trionfi senza che nessuno muoia,
forse un giorno uomo e foresta vivranno insieme,
speriamo che quel giorno ci siano ancora.
Se quel giorno arriverà ricordati di un amico,
morto per gli indios e la foresta ricordati di Chico
Se quel giorno arriverà ricordati di un amico,
morto per gli indios e la foresta ricordati di Chico»
(ricordati di Chico. Nomadi)